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OMBRE E SANGUE A MEZZOGIORNO
feninno, editore
EDITORIALE
di Vito Feninno

      Il buio politico, economico e criminale è calato su gran parte del mezzogiorno. Anzi, è stato sempre buio pesto. A memoria d’uomo non si è mai visto un raggio di sole. I fatti di Calabria sono ambigui, il vicepresidente della regione, Fortugno, dopo le solenni esequie, alla presenza del capo dello Stato, sembra caduto in un girone polito-criminale avvelenato dalle intercettazioni telefoniche con il boss “tiradritto”, che a sua volta usava numeri segreti per chiamare il Viminale. Ombre che ricacciano il paese in una nuova stagione di veleni, circa l’opacità delle istituzioni. E cioè: il vicepresidente calabrese era un uomo “storto” o apparentemente “per bene”? Le indagini sono aperte ma il terreno è fortemente inquinato. Così, le speranze tendenti  al superamento delle divisioni con il resto del paese sembrano ad oggi per sempre svanire. Oggi più che mai. E più di ieri.

Quella impalpabile sensazione di attenzione si è immiserita si è disseccata, si è estinta. Rivive solo sotto i fiammeggianti colpi della criminalità e delle calamità naturali, come in Puglia, ove il territorio è una cloaca a cielo aperto. Giacché il mezzogiorno d’Italia, nei fatti, è rimosso con fastidio; quasi esorcizzato dal silenzio. Donde poi frettolosamente riparlarne solo in forza di emergenze. Dato che storicamente la classe politica di questo Paese ha sempre dimostrato di voler rimuovere una realtà inquietante, caratterizzata da una delinquenza organizzata che si arroga il compito di svolgere le funzioni di un “Secondo Stato”.  D’altro canto le cifre economiche del mezzogiorno non ci predispongono per un ottimismo della ragione: il divario economico con il resto del paese è sempre più evidente. E cosa più preoccupante – checché ne dica la propaganda retorica della politica di facciata – il sud è considerato da molti un costo netto a carico dello Stato e del resto del paese.

E’ inutile continuare ad arroccarsi su una linea difensiva di assoluzione e di giustificazione; perché se neanche le finalità ideali dell’intervento straordinario hanno assolto il compito di riequilibrare le sorti del meridione d’Italia, come è umanamente pensabile, se nel giro di cinque decenni questo gap si è quintuplicato, che con i “chiari di luna” di oggi questo differenziale sia colmabile? La spaccatura socioeconomica è diventata sempre più profonda e strutturale, di quanto anche i più pessimisti potevano immaginare. Le statistiche indicano che la politica delle prebende a fondo perduto e dell’assistenzialismo clientelare, alimentano una classe politica corrotta e padronale.

La confindustria in un recente convegno – tenuto a Modena, luglio 2005 – è arrivata a dire con durezza che “il Sud è un enorme palla al piede per l’economia nel suo complesso, destinato a consumare le ricchezze prodotte altrove; perché un territorio capillarmente inquinato dal “secondo Stato” non attrae investimenti e capitali produttivi”. Il 34% della spesa pubblica nazionale viene “mangiata” da un territorio con il 37% della popolazione nazionale; a fronte di un 25% di PIL prodotto. Si può anche contestare, alla radice, un ragionamento così pessimistico, ma  queste sono polemiche vecchie e anche maleodoranti, che sarebbe meglio non addurre.

Sarà bene, infatti, non farsi molte illusioni: troppe volte abbiamo sentito i “nostri governanti”- non da ultimo i nuovi  dorotei di ogni stagione - commemorare i “martiri” ammazzati per mano della criminalità, di alimentare speranze predicando la necessità di fornire il mezzogiorno di infrastrutture degne di un paese moderno, salvo poi imparare che dedicavano gran parte del loro tempo, e del loro potere, a progetti destinati a rafforzare le loro clientele – e probabilmente  non da ultimo il faraonico “ponte sullo stretto”, mentre milioni di calabresi e siciliani non hanno acqua per lavarsi, perché i pozzi sono nelle mani della malavita - e a colludere con il potere malavitoso della mafia e dell’ndrangheta come ci ha appena informato il neo-procuratore capo della DIA, il magistrato Pietro Grasso, che a proposito del super latitante Provenzano, ha detto che il super boss siciliano quasi certamente è protetto dagli uomini politici, dagli imprenditori e dalle stesse forze di polizia.

 Denuncia, che a stretto giro di posta, è stata confortata dalle rivelazioni del pentito di mafia, Giuffrè,  il quale ha dichiarato, addirittura, che Bernardo Provenzano da quarant’anni “sia un confidente dello Stato democratico italiano”. Speriamo che, dopo queste pesanti accuse del superprocuratore, lo Stato italiano non debba ricordare il successore di Giovanni Falcone intitolandogli  l’ennesima ipocrita targa commemorativa posata a memoria di un uomo difensore della causa repubblicana.

 25 ottobre 2005

 

- la repubblica di tersite -